Luca Gonzatto
Il potere del perdono: l'incredibile esperienza di chiedere scusa. Le parole di Daniel Lumera
Aggiornamento: 5 mag
<<Io ti chiedo perdono.>> Scrive Daniel Lumera in Biologia della Gentilezza , un libro che ci auguriamo possa entrare in ogni scuola e lasciare una traccia profonda in ogni cuore
<<Perdonare chi ci ha fatto del male e i dolori del passato sembra una sfida estrema riservata a pochi. E se invece osassimo molto di più?
Se provassimo a guardare in faccia il peggiore dei nostri nemici, un assassino, un pedofilo, un pluriomicida ergastolano e, occhi negli occhi, avessimo il coraggio di pronunciare quattro semplici parole: “Io ti chiedo perdono”?
Quattro semplici parole: “Io ti chiedo perdono”.
Probabilmente anche solo immaginarlo scatenerebbe nella maggior parte delle persone un profondo senso di rifiuto e di rabbia. Eppure è proprio quello che faccio con i detenuti che incontro nelle carceri. Ho chiesto perdono a ognuno di loro. Sinceramente. Le lacrime che sono scese dai loro occhi e dai miei raccontano senza finzione quanto ancora lontani siamo, come società, dalla possibilità di comprendere la radice del disagio e del dolore altrui. Un’assoluta mancanza di consapevolezza che emerge ogni qualvolta qualcuno dice: “Gettiamolo in cella e buttiamo via la chiave”.
E così facendo condanna all’ignoranza se stesso e le persone che ama.
Ogni volta che ho guardato un detenuto negli occhi e ho detto: “Io ti chiedo perdono” sul suo volto ho trovato riflessi i miei giudizi, le mie condanne, il rifiuto, la rabbia, l’impotenza, l’incomprensione e l’odio.
In quei volti ho visto riflesso il fallimento della società che non riesce a capire e non vuole capire la radice del dolore, del disagio. Preferiamo condannare e punire ciò che non riusciamo a comprendere, piuttosto che assumerci la completa responsabilità della nostra incapacità come esseri umani.
Dentro le carceri ho incontrato molte persone che erano lì perché non avevano avuto dalla vita una possibilità reale, una chance: non avevano ricevuto attenzione, amore, educazione, cura, affetto. Ognuno affronta il proprio dolore come meglio può, in base agli strumenti che ha ricevuto dalla vita. […]
Ho chiesto perdono per la mancanza di empatia; ho chiesto perdono per tutte le volte che non riusciamo a comprendere le situazioni, a leggere dietro alla rabbia e al dolore una richiesta di aiuto e di amore; ho chiesto perdono per l’insensibilità.
Cosa accade quando un cane è ferito e ci avviciniamo per prestargli aiuto? Morde, ma non lo fa perché è cattivo. Morde perché sente dolore e cerca di proteggersi. Punirlo e bastonarlo è la soluzione di chi non comprende l’origine di quel disagio, di quel dolore.
Ho chiesto perdono per l’assenza di amore, di compassione, di consapevolezza e di comprensione; ho chiesto perdono per non riuscire a vedere oltre la rabbia. Oltre il dolore.
Oltre le ferite. Ho chiesto perdono per non essere capaci di curare all’origine quel disagio. Per aver abbandonato, rifiutato, odiato. Ho chiesto perdono per non aver capito che
dietro ogni comportamento, anche quello più violento, c’è sempre una richiesta di amore e di aiuto.
Molti di noi hanno la pretesa di punire ed eliminare ciò che non riescono a comprendere.
Anche per questo ho chiesto perdono. Perché ognuno dei loro volti era anche il mio. Tutti noi siamo parte di un’unica vita. Siamo tutti profondamente interconnessi e la responsabilità, quando una persona finisce dentro un carcere, non è solo individuale; è anche di ognuno di noi. Il fallimento è di un sistema educativo, di una società nel suo complesso. Riusciremo a maturare un nuovo senso di responsabilità? Dove ognuno si sente davvero interconnesso e intimamente interdipendente con tutti e tutto?
Non lo so, ma so che per capire devo iniziare con quattro semplici parole: “Io ti chiedo perdono”.
Tratto da Biologia della Gentilezza
di Daniel Lumera e prof.ssa Immaculata de Vivo
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